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Il Piemonte sta alla Sicilia come le montagne al mare, in apparenza due opposti e non solo geograficamente. Poi capita che ci devi quasi vivere per anni in un’andata e ritorno che diventa la norma, normalità di viaggio e di permanenza. Questo è il mio caso, che ormai da più di 12 anni mi vede rimbalzare tra l’estremo Nord e l’estremo Sud, con vincoli di amicizia e di passioni che si alimentano anche nella separazione e nella lontananza. Paesaggi e persone scorrono su linee parallele di uguaglianza nascosta allontanata dai dialetti, dal cibo, dal clima e da chiusure e aperture sociali, omologati in contenitori a chiusura stagna. Io vedo sempre di più solo similitudini. Le vite dei pescatori siciliani e dei pastori sulle alpi ad esempio scorrono modellate dagli elementi che ne formano il fisico e la mente. I territori danno il necessario sostegno e vengono curati e gestiti, a volte bene a volte male in uno scambio tra uomo e territorio e viceversa, insomma una forma di nutrimento necessario alla vita di entrambi. Mangiare allora non diventa una variante secondaria, non a caso il meglio dell’espressione del cibo mediterraneo si può dire che venga espressa sommando le due geografie polari italiane.

Non so bene perché scrivo queste cose. Questa sera sono solo pensieri sparsi sul mio pavimento. Forse perché ho appena deciso la data per “scendere” in Sicilia, perché riguardo queste fotografie. Andrò per raccontare vigneti e cantine, paesaggi e persone che attraverso il cibo sono l’espressione migliore della resistenza e dell’appartenenza a quel pezzo di terra che sta tra Agrigento e Gela. In questi pensieri c’è il mare, che ogni volta attraverso con la nave che parte da Genova e arriva a Palermo. Ventidue ore di perfetto isolamento che costringe alla decompressione necessaria per mettersi in linea con il cambio di ritmo. Sicilia, Piemonte e le Grandi Navi Veloci. Sulla nave ci salgo la sera e subito si ricrea l’effetto casa dalla macchina alla cabina trasbordo il necessario per scrivere, lavorare e dare un senso di famigliarità alle anonime cabine. Una doccia e poi mi abbandono al rullio del mare, ora nero, mentre le luci della costa diventano sempre più piccole. Il resto della traversata sono fotografie, vento, colazione, onde, nuvole e preludio allo sbarco. Mentre ancora una volta tutto diventa viaggio. Ma davvero questa sera qui sdraiato sul divano mi perdo in questi e altri mille pensieri.

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Stampatingalera è il nostro laboratorio di stampa fine art dietro le sbarre dell’alta sicurezza a Saluzzo.

Mille volte rifarei gli stessi errori, mille volte le stesse azioni se il risultato fosse sempre quello dell’altro giorno nella sezione di alta sicurezza  del carcere di Saluzzo.

Sono molti i muri, le barriere, i cancelli e i chiavistelli che stanno davanti alla denominazione di “alta sicurezza”. Essa esplicita un’attenzione particolare, anima una sensazione di controllo e di pericolosità particolare, innalza un muro in più, quello psicologico, da frapporre tra noi e chi sta tra dietro quel cemento “armato”.

Ma è davvero così pericoloso?

Certo è pericoloso, ci sono persone che hanno commesso reati importanti, ma né più e né meno come fuori nel mondo libero, dove forse ci sono ancora più pericoli proprio in quei luoghi famigliari dove si annida una “falsa sicurezza”.

Il laboratorio di Stampatingalera è attivo da ormai due anni e l’unica cosa di alto che ho trovato è il livello di coinvolgimento e di forza di propulsione verso il riscatto e la voglia di rimettersi in gioco al più presto. Troppo è il tempo sprecato nelle celle, dove il senso di abbandono nel nulla riempie la giornata. Troppo potere viene lasciato in mano alla spersonalizzazione dell’anima senza un diritto alla ricostruzione, senza una via verso il futuro, così rimane solo il passato, vivo e logorante in questo stato di pausa dalla vita. Anche rifugiarsi nella lettura e nella scrittura, dopo troppo tempo viene meno.

Qualcuno non uscirà più, ma non ci crede ancora fino in fondo e pure io non ci posso credere.

Spesso la società pensa sia una giustizia quella che vede la gente in prigione, pensiamo sia il luogo giusto per certe persone, o almeno lo pensano in molti. La mia direzione è quella di una ricerca, ricerca di un’impossibile giustizia, ma non confondiamo questo operato con una forma di pietismo gratuito verso persone che pensiamo colte da improvvisa ingiustizia. Credo fortemente nel dovere – e nel diritto – di pagare per le colpe commesse, per poi rientrare in un sistema di legalità. Credo che per ogni errore commesso sia necessario pagare e che in un modo o nell’altro pagheremo sempre, ma non dobbiamo certamente regalare vite allo spreco e alla costruzione di castelli di rabbia conseguenti solo a prossime e inesorabili illegalità.

Già, questa è la colpa della nostra società dichiarata anche dall’Unione Europea: si parla di tortura, e di conseguenza ora stiamo già pagando un caro prezzo, altro spreco e ingiustizia da aggiungere al attuale sistema di detenzione.

Ci sono certamente carceri che vanno in una giusta direzione, luoghi di lavoro e di occupazione manuale ed intellettuale, ma certamente non basta ancora per esserne orgogliosi.

Comunque, a dir la verità, non vedo una soluzione nell’immediato, così ho smesso di pensarci troppo, preferisco essere concreto a piccolissimi passi, cerco di vedere solo persone e basta, né detenuti, né agenti, né direttori, educatori, volontari, ma solo persone, senza giudicare, senza curiosità morbosa di sapere quello che li ha portati tutti in alta sicurezza. Dobbiamo contaminare con pensieri concreti ogni persona che incontriamo dentro. Il lavoro mi sembra la possibilità più importante di rinascita, non solo dentro. Così il nostro laboratorio di stampa in galera vuole seguire questa direzione.

Ieri quando sono uscito con in mano il rotolo di fotografie stampate su carta pregiata 50×70 dal gruppo di Stampatingalera, la commozione è stata forte. Dentro ho cercato di celebrare un po’ il momento, ma non so se sia davvero passata questa mia emozione: certamente è stato forte il senso di sana materialità quando le immagini stampate hanno oltrepassato l’ultimo cancello, spero verso una nuova visione di detenzione.

 

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