Tempo fa nelle calde serate estive qui nel Cuneese, la sera spesso si andava al chiabot, al fondo di via San Michele, al limite della collina Fossanese. Il chiabot era soprannominato il ciulodromo (ma il riferimento era più una speranza che una denominazione d’origine). Al ciulodromo dicevo in quelle serate si finiva sempre a fare cena sotto il caco ormai rimpiazzato da una comunque ma bellissima acacia. Due panche, un tavolaccio, una cartatovaglia e la sala da pranzo a cielo aperto era pronta. Fin da subito, da quando ancora la carne appena appoggiata sulla griglia cominciava a cuocere, le discussioni e le risate erano sostenute. Bicchieri colmi e poi subito vuoti di buon Nebbiono aiutavano l’interazione di pensieri vari. Ricordo bene quella sera, dove una fresca arietta spingeva dal Monviso e un un piacevole refrigerio portava lo sguardo verso le vicine langhe. Eravamo i soliti 5 o 6 Manu, Danila, Michele, Eli, io e ora non ricordo più chi altro. Per cena c’era un polpo. Il cefalopode mi aveva convinto subito quel mattino a comprarlo per via dei suoi colori vividi e lucidi. Appoggiato sulla plancia di quella bancarella sotto le torri degli Acaia, quasi sembrava guardarmi compiaciuto mentre la mano tozza del pescivendolo l’afferrava e lo faceva scivolare sulla bilancia. “Grazie” mi sembrò sentire, si ma forse era il mercante… In quel periodo il lavoro mi girava bene, come del resto ancora adesso, ma qualcosa come una leggera ansia continua si agitava nella pancia, come del resto ancora adesso… Insomma con quello stato d’animo la ricetta del polipo semplicemente cotto nel suo brodo, m’ispirò il titolo. Lessa a fuoco lento, senza fretta. Adagiato su un letto di pochi profumi rimpicciolisce rilasciando un delizioso brodino. Nell’aria tutt’intorno si diffondono malinconici vapori marini. Cuoce nel suo brodo, come se quella fine consapevole e giusta se la fosse cercata o meritata. Niente sale, niente di troppo che non serve, solo un paio di sapori. Il polipo basta da solo. Infine cade nel piatto. Mentre lo porto in tavola strappo al volo un ciuffo di lavanda che finisce a pioggia sul nostro amico tentacolato e un filo d’olio. Quei cespugli di lavanda lambiscono il chiabot e profumano di ricordi, giornate passate con amici e risate, stelle ad agosto e temporali improvvisi, passeggiate e abbracci, ricordi di erba appena tagliata dove coricarsi è un’esigenza. Ecco allora servito “il polpo senza speranza”. Il sole è tramontato, le luci si concentrano sulla tavola rischiarata appena da una lampadina accesa. La faccia di Michele è poco convinta dal nome, ma subito se ne fa una ragione assaggiando il primo tentacolo.
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- Words by: Davide Dutto
- 5 Agosto 2009
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fra
Posted: 6 Agosto 2009
un bel ricordo, con una punta di malinconia sottolineata da questi scatti in bianco e nero. E' sempre un piacere leggerti Un abbraccio fra