Lunedì sera, Val Tanaro, Carnino Inferiore 1387 m. sopra il livello del mare. Sul tetto di lamiera davanti alla finestra a cui mi sono affacciato cadono fitte gocce, non ancora pioggia e neanche più nebbia, vedremo poi. Fuori è diventato buio in un attimo. Finalmente ci siamo ritrovati tutti insieme per discutere del progetto Refugee.
Parte prima
Val Tanaro dicevo, a Carnino dove è stato fissato l’incontro dei magnifici sei: Isabella, Luca, Erica, Antonio, Luca ed io. Chi arriva da Milano chi da Cesena, in ogni caso si parte da Fossano alle ore 11.45 di lunedì mattina. Il percorso è semplicissimo: sbagliando strada si arriva alle ore 12,30 alla Certosa di Chiusa Pesio dove il guardia parco di turno ci dice con aria di compatimento che siamo esattamente a due ore e trenta dal bersaglio. Così, con non scialance rientriamo in macchia e passando da Mondovi, Ceva, Ormea, finalmente inforchiamo a destra la stradina di montagna che ci porterà direttamente a Carnino inferiore.
Arrivo alle 15.00 circa, subito dopo esserci sistemati e mangiato un boccone cominciamo a parlare.
Parte seconda
L’incontro è appena stato sospeso. Respiro lungo dal naso, poi tossisco, mentre le parole stanno uscendo fuori per fare una passeggiata. Io rimango nella casa dei guardia parco. Ho voglia di isolarmi un attimo, di prendermi spazio. Troppo correre, troppo rumore, troppo fare in questi ultimi scroscianti giorni, settimane, mesi. Mi chiedo, fin quando resisterò a me stesso.
Respirare, ho bisogno di respirare di uscire da questo Maiorchiano stato di apnea continua. Non voglio mica battere nessun record, non voglio di certo vincere qualcosa; davvero vorrei solo partecipare, magari bene, ma forse per me già questo è troppo visto la fatica. Strana sensazione, spesso mi sento adatto e inadatto a tutto. Allora adesso che le parole si sono allontanate resto in piedi senza muovermi ancora un attimo, con lo sguardo fisso, ipnotizzato dal muro di pietra (sarà grave?). Il silenzio immediatamente apre un varco in me, nel solito punto debole fa entrare ataviche emozioni. Lascio fare, con un senso di serenità Tibetana lascio scorrere. Poi spego la luce.
“Click”.
Nero.
Ora scoppietta la stufa, il battito del mio cuore, il respiro, la goccia del rubinetto, sono i colori e i profumi che preferisco al buio; ma continuo a sentirmi estraneo, fuori posto. Solo pochi minuti e poi le parole saranno di nuovo qui, devo fare nuovamente presto, devo essere veloce a risistemare le idee, a ritrovarmi almeno in parte. Ecco, vedo sul tavolo dopo l’abbagliante buio l’unica luce che è rimasta, quella dello schermo del mio portatile. Luce fredda, luce fatta di pixel con la forma di cartelline celesti su sfondo grigio. Cartelline denominate: dida, scrivania, mostre, vecchie, rifugi, cartella senza titolo… Allora con due rapide mosse mi avvicino e pigio sulla tastiera due tasti, un control e un enter e il foglio bianco di texedit si appare, “Sie Liedt Dich” dei Beatles “yes yes yes…” e parte la musica. Non importa cosa sia questa precisa sensazione ora, forse è un altro punto di partenza o di sospensione. Così scrivo, apro alcune fotografie e ascolto la musica. Va bene, va meglio, giusto un attimo e le parole ritorneranno qui, seduti attorno al tavolo proseguiremo la camminata.
Respiro lungo dal naso. Refugee.
Parte terza
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- Words by: Davide Dutto
- 26 Ottobre 2011
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bianca
Posted: 27 Ottobre 2011
Gli occhiali sul tavolo fanno tanto Silvio Pellico... Subconscio delle "mie prigioni" ?