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Non ho alternative al mio lavoro, non ho piani B, non voglio pensare di vivere diversamente ad oggi. Ho sacrificato mille vite per questa e tutto sommato e fortunatamente mi va decisamente bene. Questo non vuol dire che sia tutto facile o piacevole, ma che vivo fortemente ogni aspetto di questa giostra che spesso mi travolge. Il fisico… beh quello ha una sua vita propria, che spesso si distacca da me, fortunatamente per poi rientrare in una accettabile convivenza.

Così oggi la giornata è iniziata con la discussione di un progetto editoriale sul circo Paniko. Successivamente tutto è scivolato via da ogni schema, da ogni razionalità di lavoro e di pianificazione. Sostenibilità. Sono uscito dallo studio per iniziare dal fiume. Telefonate, mail e preventivi sono continuate fuori e dal circo al cibo il passo è stato breve con gli amici dell’Osteria Veglio. Un filo conduttore di pensieri fuori schema mi ha accompagnato sui progetti di gigantografie, workshop di fotografia food e la mostra sui pescatori di Licata che sono stati il pomeriggio.

La sera, ormai arrivata, mi porta via ogni idea e sensazione di aggiungere altre cose, ma non sono stanco, piuttosto sono agitato come spesso mi sento, come il mare dei pescatori che confina con la mia realtà di piemontese, ai piedemonti dove le onde s’infrangono.

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IMG_8193Profumi e aromi non possono essere fermati dai muri, dai portoni di ferro o dalle sbarre. Non importa da che parte stai, loro scorrono attraversando barriere e convenzioni. Succede allora in Piemonte a Saluzzo, in una fredda e uggiosa giornata primaverile, che un gruppetto di cuochi ancora assonnati, arrivi davanti al cancello del carcere e suoni il campanello. Entrano, anzi entriamo perché ci sono anch’io. Siamo circa una quindicina tra chef e organizzatori della cena “Più stelle meno sbarre”.

Dopo il consueto controllo dei documenti e dell’attrezzatura entriamo e ci dirigiamo verso la cucina del corso per cuochi, dove ci aspettano i detenuti. Dopo i primi momenti d’incontro per conoscerci diventa subito pasta tirata e ripieno per preparare i plin, che Massimo Camia con apparente facilità realizza in un batter d’occhio. Tutto sembra facile. Pensiamo quindi al cibo, alla professione del cuoco raccontata, alle ricette, ma quello che più si percepisce è una giornata diversa dalle mille altre prima e dopo di questa. Una manciata di ore, forse si possono contare i minuti passati sui fornelli, ma il peso specifico è quello che conta. Sempre è così, sono anni che rimbalzo nelle galere italiane per far incontrare i cuochi con i detenuti, penso sia una mia patologia :-). Come sempre quasi subito scatta la scintilla che cambia di colpo la visione di tutti quei pensieri stereotipati del carcere. Persone, non detenuti, o agenti, o cuochi, fotografi ma semplicemente iniziamo a vedere persone.

Cucinare ti spoglia da qualsiasi abito o ruolo e diventi quello che sei, o almeno ti avvicini mentre pulisci un carciofo e sbucci una cipolla, mescoli la pasta nell’acqua che bolle, fumo e aromi diventano sudore e piatti da riempire. Ti dimentichi che sei in un luogo ristretto, rinchiuso per giuste o ingiuste cause. E’ sempre così nel percorso di andata e ritorno tra galera  e cucina, cucina e galera, un ping pong di sensazioni che costruiscono una possibilità, una goccia, ma pur sempre potente e diretta. Cucinare come forma di resistenza, di riscatto. Questo è quello che penso, mentre attraverso il mirino della mia Canon inquadro momenti di contaminazione tra fuori e dentro. Scatto e mi nascondo dietro il corpo macchina per non far capire che mi sono per l’ennesima volta emozionato.

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Non potevano poi mancare i ritratti dei cuochi dietro le sbarre che si sono messi in gioco.

 

Massimo Camia

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Theo Penati

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Matteo Boschiero Preto

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Christian Costardi

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Costardi Bros

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Manuel Costardi

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Alessandro Negrini

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Pino Cuttaia

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Yoji Tokuyoshi

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Ugo Alciati

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Ugo Alciati e assistente

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Detenuti veri ?

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Giancarlo Morelli

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Cristina Bowerman

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