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Sono sicuramente un fotografo, me lo sento dentro fino a che respiro fotografo, ma ora mi chiedono di spiegare in breve la mia esperienza in carcere… si di scriverne e qui lascio il mio territorio sicuro e conosciuto delle immagini e provo ad entrare in quello dei testi, dello scritto e cerco di raccontare con parole…vediamo ci provo, perdonatemi in anticipo.

“Ho passato tre anni in carcere…(pausa)” subito l’espressione dell’interlocutore cambia, lo sguardo diventa imbarazzato e un po’ nervoso, poi “…si beh ho insegnato fotografia ai detenuti per tre anni nel carcere di Fossano…” e la faccia si fa più rilassata e incuriosita e poi le domande e la voglia di sapere della vita all’interno di un casa di reclusione. “Quale reato hanno commesso per essere lì e quanti anni devono scontare, quanti vivono per cella?…è vero che esiste una gerarchia tra i detenuti?…insomma le solite domante di curiosità superficiale per poi magari cercare di capire come l’uomo, la persona dietro le sbarre possa sopravvivere alla quotidiana privazione della libertà fisica. Proprio questo è quello che mi ha sempre incuriosito (all’inizio inconsciamente) fin dall’età dell’elementari quando passavo davanti all’altissimo muro di cinta del carcere di Fossano per recarmi a scuola, lo costeggiavo fino a svoltare in via S.Giovanni Bosco e proseguivo dritto verso l’entrata principale dove la grande porta di ferro grigia con un piccolo spionciono bloccava l’entrata. In quel tratto osservavo le finestre con spesse sbarre per cercare di individuare un volto o qualche ombra affacciarsi. Allora non avevo ancora ben capito il senso della punizione, della condanna, del reato o del crimine, solo quello dei film, magari di Walt Disney che guardavo al “cinematografo” all’inizio degli anni 70 o il senso delle punizioni giuste dei genitori, quello l’avevo già sperimentato. Sicuramente fu la curiosità e la voglia di vedere oltre quel muro che alla fine degli anni

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