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Palermo-Genova primo maggio, tratta di rientro verso il Piemonte, Cuneo, Fossano, Casa.

Manca ormai poco meno di un ora all’attracco nel porto di Genova e di solito a quest’ora devo essere fuori della mia cabina.  Mi sono allora seduto sulle scalinate tra i piani, il più lontano possibile dalla folla che m’insegue per scrivere mentre aspetto la chiamata al garage A.

Attraversare gran parte del mediterraneo da sud a nord alla media di 20 nodi (Grandi Navi Veloci) è sempre una strana sensazione, rimango in uno stato di stallo prolungato che crea assenza di gravità indotta dividendo viaggio e permanenza del mio lavoro. Per tutta la tratta di navigazione mi sento come fossi fermo sul mare, mentre il percorso di rientro continua piano a mettere e togliere distanza tra me e altro, tra me e me.

Ieri dopo aver convulsamente riempito la macchina di tutto quello che non potevo dimenticare, ho saluto tutti, Pino per ultimo. Lui armeggia con il suo cellulare  provvisorio, quasi come se io non dovessi partire più. Mms, sms, mail, rubrica non si capisce mai come impostarli correttamente sui nuovi telefonini: “il venditore ne sa meno che me!!” mi dice.

Io: “…devo andare Pino, devo andare. Voglio ancora fare delle foto mentre salgo su verso Palermo. Ciao Pino, ciao…”

Lui finalmente capisce che non posso più restare e mi saluta ancora con un abbraccio e un arrivederci a presto, perchè intanto ci sentiremo sovente in questi giorni per il libro che stiamo realizzando e poi a luglio sarò nuovamente a Licata.

Parto, parto…

Il primo pezzo di strada costeggia il mare, le serre, le case più o meno rifinite, i campi di grano, ma poi appena imboccata la super strada Gela-Caltanisetta taglio dritto verso Palermo lasciandomi la costa e il mio fare alle spalle. Ora solamente guido, non devo fare altro. Come lo scirocco che arriva dall’Africa punto verso il nord e la velocità diventa aria dai finestrini e poi musica forte dalla radio che rimbalza in ogni dove. Se avessi i capelli sarebbero svolazzanti perfetti per una foto di vacanza. 

Ora la luce e la strada sono quello che mi aspettavo,  l’una radente e calda filtra tra le nuvole e colpisce i campi ancora verdi e gialli, l’altra dritta e in salita scorre via veloce, così guido con un occhio sul panorama e uno sulla strada, imprudentemente a tratti tutti e due gli occhi verso il paesaggio.

Mi agito e sono irrequieto mentre scatto immagini al volo. Spero di non perdere pezzi per strada, ma sento già che lascerò qualche foto in Sicilia. Vivere la fotografia così fa parte della mio carattere da accumulatore compulsivo d’immagini e allora non mi preoccupo più di tanto, scatto viaggio, viaggio e scatto e così via.

Alla fine senza accorgermi mi ritrovo in coda con le vetture del rientro dal primo maggio sulla strada che entra in Palermo. La via verso il Porto la conosco bene ormai, così svicolo veloce tra periferia e lungomare, tra  barche ormeggiate e le macchine in coda fino all’ormeggio della “Suprema” la nave dove troverò la cabina con vista.

Ma ormai sono nel porto di Genova. Questo viaggio spaziotempo verso il Piemonte sta per finire.

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Lunedì, anzi martedì di un giorno di aprile. Sono nella sala bar della nave Superba, ore 9:15 anzi 9:16 direzione Palermo.

Seduto a un tavolo della caffetteria al nono piano di questa nave cerco di svegliarmi. Inesorabilmente c’è sempre qualche televisione accesa che trasmette ignobili trasmissioni mattutine, adesso canale 5 mi pare, ma una vale l’altra, spazzatura da fuori bordo. La gente sta seduta ai tavoli più o meno rumorosa e inizia la giornata dopo un alba indecisa sul fazzoletto di mare che costeggia la Sardegna, non si vede, ma sta sulla nostra destra.

Cazzo siamo in mezzo al mediterraneo e nessuno sembra accorgersene almeno qui dentro, trasciniamo dietro la nostra piccola vita in un sacchetto di plastica, chiusa dentro acriliche certezze, fuori potrebbe esserci un universo blu cristallino, ma preferiamo una televisione accesa, una cabina con aria sintetica e acqua non potabile piuttosto che fare un tuffo in quel mare, respirare e colorarci di mare.

Spesso quando viaggio in nave mi piace stare al limite della poppa e osservare il ribollire dell’acqua smossa dalle eliche, guardare l’ipnotica scia che dalla nave prospetta fino all’orizzonte; la fisso per alcuni minuti, l’effetto è assicurato. Così vedo un tuffo in quel ribollire di mare, vedo scorrere il pensiero sulle correnti, immagino di essere sul dorso e vedere la nave allontanarsi piano, poi solo più il rumore delle onde mentre la nave è ormai un puntino all’orizzonte, merda non fosse così pericoloso e bagnato lo farei veramente.

Invece per ora, aggredito da una caffetteria, decido di incuffiarmi nelle note dei The Chemical Brothers, Push the Button, Galvanize, musica elettronica di qualche tempo fa, può andar bene. Così scrivo, anzi penso e scrivo, anzi non riesco a pensare e non sento cosa scrivo, però mi viene bene battere i tasti a ritmo…

Ritmo e parole si fondono insieme senza seguire una traccia precisa, infatti scrivo e cancello, riscrivo e ricancello, forse più facilmente descrivo il mio umore ora sul tavolo.

Dentro il bicchiere di polistirolo staziona il mio cappuccino con schiuma last-limone però dal gusto caffè latte per fortuna,  il tavolo è ancorato al pavimento e la sua plancia in formica consumata è di color beige impallidito, la mezza brioche morsicata al cioccolato l’ho appoggiata sul tovagliolo di carta, il cucchiaino è rigorosamente di plastica. Tutto qui attorno è decisamente beige, come pure lo è anche il personale scazzato-napoletate dietro il bancone, li posso capire. Se giro lo sguardo alla mia destra, scostando appena le tende arancioni, rigorosamente slavate e beige, si vede un pezzo di piscina vuota e gente che si sospinge verso un sole ventilato che scompiglia i capelli per chi ne ha. Per di più sono pensionati, mentre i camionisti ancora dormono in cabina.

Ecco, mi sa che tutto questo alla fine mi piace, insomma mi smuove dentro curiosità e allontanamento nello stesso tempo, immaginare le storie e sentire i profumi delle persone in viaggio, ascoltare pezzi di discorsi in lingua sicula che s’incrociano con altri in tedesco o l’inglese mi attrae, così resisto ancora un po’ nella caffetteria e alterno musica a parole di passaggio davanti e dietro al mio tavolino, giusto per finire la colazione. Inevitabilmente ora però devo uscire per andare a vedere la scia della nave e tutto il resto.

Ora sono al sole, mentre i The Chemical Brothers continuano il loro album.

Sono partito, ho mollato gli ormeggi, a dire il vero li ho strappati ieri lasciandomi alle spalle Fossano, guidando fino dentro alla pancia della nave quasi in apnea, prima di spegnere ogni contatto, prima di perdere ogni linea che questo viaggio in nave mi impone di perdere.

Qui non c’è campo, qui c’è mare.

Dunque direzione Sicilia, che ormai tra poche sarà visibile, e già penso al libro che ne verrà fuori da questo giro, le foto da fare, le persone da incontrare, sto cambiando il ritmo, sto lentamente tornando in superficie con e un sub che affronta la decompressione.

Quindi giorni rimarrò, per raccontare attraverso le mie foto le storie di Pino Cuttaia, le sue ricette di vita, i suoi profumi, la sua materia, il suo lavoro, le sue passioni, i suoi amori, la sua famiglia.

Giunti, l’editore, si aspetta un gran bel lavoro e io finalmente torno a fare solamente il fotografo.

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