Lei è come nuova, però ha il suo tempo. La Polaroid 600 dei primi anni 80, comprata in un sobborgo di Londra un paio di mesi fa è ora nelle mie mani. Ricomincia a scattare immagini…insomma ci provo. In questi fine settimana sto sperimentando emozioni arcaiche, quelle di quando chiuso in camera scura sviluppavo le mie prime pellicole e stampe. Risentire la materia tra le mani e sporcarmi le dita di un gelatinoso composto chimico, devo dire, mi ha ridato nuove (…o vecchie?) sensazioni positive. Niente a che vedere comunque con il senso nostalgico o pseudo-poetico della cosa (anche se un pochino ne fuoriesce). Spesso però sono super stimolato dalle nuove tecnologie, dalle infinite possibilità di applicazioni creative artificiali. Forse appunto per questo eccesso di input perdo il senso di assaporare il momento, l’oggetto, la parte del pensiero che diventa materica. Tutto rimane inseguire e andare oltre, per stare al tempo, per fare meglio, di più. Tutto ciò, non è necessariamente negativo, ma davvero sento sempre più spesso la mancanza di riflessione nel mio lavoro. La necessità di riequilibrare l’istinto con il pensiero a volte diventa prioritaria. Devo fare qualcosa. La Polaroid può aiutare? Scatto l’istantanea e poco posso fare per controllarne l’evoluzione, il formarsi dell’immagine tra la base di plastica e la pellicola trasparente; il gel rivelatore fa il suo corso. Sperimentando e applicandomi potrò sicuramente affinare la tecnica, ma per ora rimane un fastidioso senso di non controllo che porta però all’accettazione di quello che sarà; una fotografia Polaroid. Questo per me è il valore creativo di questa piccola fotografia immediata, non solo per via del pezzo unico, ma anche perché non ho ancora smesso di esplorare l’immagine ottenuta nei suoi più piccoli dettagli. Bene ora continuerò a sperimentare il mio polaroider percorso e vi dirò. Ciao
- Words by: Davide Dutto
- 13 Febbraio 2011
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