Quarantacinque minuti sono duemilasettecentosecondi.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei secondi bastano per sentire i sentimenti più forti, vedere scorrere immagini, pensieri. Averne mille.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, si forma una lacrima, i denti digrignano, il viso si contrae.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei… fregato, ancora ne devono passare duemila seicento novanta quattro prima che qualcuno apra quella cazzo di porta.
Quarantacinque minuti come il tempo per arrivare da qui a Torino, come mezza partita di calcio, quarantacinque minuti ad urlare insieme, ma non di certo per un goal.
“Fatemi uscire da questa fottuttissima cella”. “Fatelo uscire”.
Ciao ragazzi, la mia guerra è finita ieri, e come tutte le guerre non è stata giusta perché ha fatto vittime. Così sono stato qui in questi pochi metri quadrati diventati la mia casa, la nostra casa. Voi la mia famiglia.
Avete visto che me ne sono uscito, così come vi dicevo? Beh certo non mi aspettavo così presto, neanche abbiamo finito questo corso, ma avevo ragione io questa volta non si discute, ora sono fuori.
Voi come state? Spero non siate troppo tristi o arrabbiati, per me ora è tutta un altra storia, di colpo sto parlando senza fare più un errore, in un italiano perfetto. Cavolo, però qui non serve molto, ci capiamo tutti con uno sguardo, pensiamo e comunichiamo meglio di tutti i poeti della terra messi insieme.
Certo però che quei quarantacinque minuti l’altro giorno sono stati tremendi, dopo che mi è scoppiato il cuore tra queste quattro mura maledette, i più terribili della mia vita. La mia morte. Li sento ancora pesare addosso, sento forte l’ennesima e definitiva ingiustizia del sistema, per me e per tutti. Forse ho sbagliato. Già, ho sbagliato da quando sono nato in quel contesto, non ho potuto fare che questa vita, come se fosse la più giusta, la più sbagliata. Insomma non ho fatto bene a fare quello che ho fatto l’ho sempre saputo in fondo e non ne vado fiero, ma davanti alla mia sopravvivenza ho dovuto fare quello che ho fatto, ho dovuto scegliere di sparare per primo. Sono colpevole, sono colpevole certo non più del sistema che mi ha chiuso qui dentro e ha buttato via le chiavi questa sera, come ogni sera.
Il sistema, quello con cui voi state ancora facendo i conti. Giustizia e ingiustizia per me non è più un problema, ma vi giuro ragazzi sono stato e sarò sempre con voi. Ora vedo cosa posso fare da qui…
Ciao ragazzi. Ciao moglie, ciao figli, amici. Ciao carcerieri anche voi dalla parte sbagliata in fondo come tutti in galera, ciao insegnanti che ancora non avete capito da che parte state, ciao compagni di cella voi senza dubbio dalla mia parte.
Ancora un abbraccio forte a tutti, io esisto ancora perché so che tutti ora mi state pensando in questo preciso istante e io “lì sono” come si dice laggiù in sicilia.
Eccomi, ciao dal vostro V.
- Words by: Davide Dutto
- 29 Giugno 2014
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