Napoli una mattina di primavera, avevo 16 anni e stava per finire la scuola. Un mio amico ed io decidemmo di andare a vedere la partita di pallone. Quando entrammo allo stadio, io per la prima volta rimasi incantato alla vista di così tanta gente in un unico luogo. Ero lì in mezzo a tutta questa folla, urla e tifo, provai una grande emozione.
Certo in questi tre intensi giorni non posso dire di aver veramente visto Napoli, “Vedi Napoli e poi muori”, mi sono assicurato ulteriore futuro. Però ne sono rimasto contaminato. Una contaminazione che non sfocia in malattia, bensì in una sorta di guarigione, ovviamente non priva di sensazioni forti e a volte dolorose. Davvero non lo so, se quello che velocemente i miei occhi, naso, orecchie e cuore hanno incontrato sia veramente Napoli o pezzi di quella città in una vetrina sgarruppata. Fatto sta che gli stereotipi che mi aspettavo, quelli si li ho visti, sentiti e assaggiati tutti: la pizza, il caos, i vicoli stretti pieni di persone colorite, l’immondizia, le zone apparentemente poco sicure, i muri scrostati, i motorini portare tre persone senza casco, il mare, il sole, il Vesuvio, la musica, i tricchetracche, ‘na tazzulella ‘e caffé, immagini di Pulcinella e Totò dappertutto, posteggiatori abusivi, lunghe file di panni stesi tra i palazzi, forte religiosità, superstizione, odore di cibo e odore acre […] Stereotipi iconografici di una città violentata da troppo troppo tempo. Oggi ancor più esasperata, senza più quel sorriso di chi conosce l’arte dell’arrangiarsi. Se sono immagini significative o inutili non lo so, ma sono lì davanti a tutti, impietosamente stagnanti a volte. Vorrei aver avuto più tempo per vedere oltre, rovistare tra la spazzatura, entrare dentro case e chiese, salire sui tetti per tuffarmi con le persone in questo mare, in questo stagno, in questo golfo. Ciao
I can’t say I have actually seen Naples in these three days, so the saying “see Naples and die” doesn’t work. But I have been contaminated. A contamination that does not become a disease, but a kind of healing full of strong and even painful feelings. I really don’t know if what my eyes, nose, ears and hart have met are Naples or just messy peaces of it. But in the end, I have met all the stereotypes that I expected. I’ve seen, heard and tasted them all: pizza, chaos, narrow and crowded streets, scooters carrying three passengers without helmet, the sea, the sun, the Vesuvius, music, tricchetracche, ‘na tazzulella ‘e caffé, icons of Pulcinella and Totò basically everywhere, unlicensed parking attendants, linen hanging out the windows, a strong sense of religion, superstition, smell of food and smell of waste joint together. Iconographic stereotypes of a city that have been raped for far too long and that is now become too bitter to keep on smiling for the art of “scraping along”. I have no clue if these are relevant images of Naples, but here they are, pitiful and stagnant in front of everyone. I wish I had more time to see beyond this, to dig through the waste, to enter the houses, to climb on the roofs and dive with all the people in this pond, in this sea, in this gulf. Ciao.