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L’onda lunga del viaggio in Sicilia si scontra con le realtà del rientro e scivola via sulle mille cose che devo fare e fotografare qui a Fossano. Dalla valigia mezza sfatta sul pavimento, escono ancora i profumi di capperi e le bottiglie di malvasia. In studio le immagini sul computer sono quelle delle isole e dei lavori di sala posa. La doccia a casa è quella mia. Mi sento come dopo un viaggio intercontinentale con il fuso orario sbagliato…Nelle orecchie sento le parole in dialetto stretto, capito a metà del contadino che mi racconta della sua casa venduta e di come si viveva molti anni fa a Chiaramonte nel ragusano. I gesti delle mani spiegano come parole storie lontane, di quando giovane pestava l’uva con i piedi, di come suo padre costruiva la casa di famiglia e ancora altre. Parole siciliane nelle orecchie che si mescolano a quelle Tibetane, oggi mentre fotografo il Dalai Lama a Torino. Parole importanti, parole che insegnano. Fotografo in situazioni difficili, mentre giornalisti e fotografi accreditati spintonano al suo arrivo. La luce, la distanza dal soggetto e il flash sono da impostare meglio…scatto e mi muovo tra una giungla di zoom e telecamere che puntano lì davanti, di fianco, sopra… sono a circa 80 cm dal Dalai Lama che parla, appoggio la mano che impugna lo zoom sul tavolo per essere più stabile. Naturalmente devo tagliare i microfoni dall’inquadratura, poi sposto le bottiglie dell’acqua e i bicchieri davanti, mentre i colleghi spintonano e chiedono spazio, ma soprattutto devo scattare al momento giusto. Dalla finestra il sole mi spara in faccia una botta di luce, interessante effetto sulla faccia del Dalai Lama. Così continua la conferenza stampa e alla fine

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Non mi stancherò mai di dire che io di cucina non ne capisco una minchia…(termine colorito qui in Sicilia per dire niente e… altro) e non parlerò della cucina dei piatti e dei menù e delle stelle, non potrei, ma vorrei raccontare di persone, del lato umano che li ho conosciuto. In questi giorni in cucina ho sentito i profumi e ho visto i ritmi. Ho fotografato gli abili movimenti delle mani che tagliano, lavano, impiattano e ho sentito le parole precise e dirette dello chef, ho visto la fatica scaldata dal fuoco e dai vapori, ho sentito i rumori dell’acciao e i silenzi quasi religiosi di quando già nella sala i clienti mangiano. Ho visto sguardi tenere d’occhio ogni piccolo movimento della brigata, a volte ho sentito i rimproveri e a volte le battute e ancora sguardi rubare il mestiere allo chef. Mi sono entrati nel naso gli aromi semplici e puliti dei soffritti e quelli più strutturati delle teglie uscire dal forno. Ho visto insomma la vita in cucina e di vita in cucina c’è ne tanta. Sono da Pino Cuttaia a Licata nel suo ristorante La Madia, sono qui per fotografare il suo lavoro, come vive in cucina in questo pase siciliano. Quindi da tre giorni faccio parte della brigata con il ruolo di testimone per documentare ogni movimento che possa spiegare i sentimenti che stanno alla base di questo lavoro. Martedì facciamo un giro nel paese, giusto per capire dove mi trovo, poi Pino mi spiega che qui sarebbe un bellissimo territorio, ma che bisognerebbe sistemare ancora molte cose… mi porta nella parte panoramica mentre mi parla delle sue passioni dei suoi progetti.

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