Questo è il fotoblog di Davide Dutto. Visita anche: Facebook Pinterest YouTube Instagram Cibele Edizioni Sapori Reclusi

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…ah gia ecco…il mio studio dov’è? Si quello che ogni fotografo, chi più chi meno ha. Un’entrata, foto appese alle pareti, una scrivania, un tavolo per rifilare le foto, computer, macchine foto sparse qua e là…insomma lo studio del fotografo. Dov’è finito il mio? Entro in questi giorni al mattino e faccio fatica a non pestare cose, scatole, libri, pacchetti. “La mia borsa dové? il mio zaino? quelle foto erano appogiate qui, dove minchia sono sparite?”. Questa è una casa editrice cascata sopra il mio studio. Ma quanto spazio prende una casa editrice? Ecco perché la chiamano “Casa” editrice, perché ci vogliono tante stanze, più spazio, più di uno studio fotografico. Aiuto, c’era una volta il mio studio. La sensazione è quella di essere sommerso, coperto, schiacciato in questo periodo di progetti e lavori entusiasmanti si, ma impegnativi molto. Ma chissenefrega, dell’impegnativo e della fatica, che tanto di tempo per riposare ne avremo prima o poi, almeno quello eterno è assicurato. Pace e bene.
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Verso il 1450 Johann Gutenberg inventò il metodo di stampa a lettere (caratteri) di metallo mobili. Le varie lettere venivano sistemate una dopo l’altra per formare una sorta di matrice con il testo che avrebbe poi composto la pagina. Piombo, antimonio e stagno era la lega che resisteva bene alla pressione della stampa. Prima di allora i libri venivano scritti a mano, pagina dopo pagina, decorazione dopo decorazione. I tempi per la realizzazione erano molto lunghi e impegnativi, così la cultura poteva espandersi solo a pochi eletti, benestanti o religiosi. L’invenzione diete una svolta decisiva alla comunicazione e alla cultura. Solo 50 anni dopo erano stati stampati già 30.000 titoli con una tiratura superiore a 12 milioni. Io credo che in ogni invenzione (riuscita o meno) ci sia sempre una parte di magia, una sorta di alchimia, sì che quella persona abbia un’illuminazione. In quel preciso istante, dopo un percorso che attraversa l’esperienza, la manualità, la creatività, la casualità, l’inventore intuisce, capta l’evoluzione meccanica o filosofica. Penso quindi all’invenzione come una sorta di destino che si compie e che porterà alla crescita della cultura dell’uomo di cui tutti possiamo farne parte, uso e miglioramento. Oggi, una domenica mattina di scazzo come altre, la riflessione su Johann Gutenberg e il suo carattere mobile mi viene facile giocando con le parole. Per essere inventore bisogna avere un grande carattere e una grande apertura mentale che ti permetta di capire l’importanza dell’errore e della casualità a volte partendo dal caos, per gettare le basi all’invenzione. Il digitale ha dato un’altra grande accelerazione a questo processo di comunicazione editoriale. Noi fotografi ci stiamo dentro, ormai capita normalmente di unire alla fotografia parole, testi su libri, su cataloghi, nei blog, manifesti. Allora il mio carattere sperimentatore ne gode mentre apro immagini sul monitor e le abbino ai pensieri. Scelgo le font: bodoni, helvetica, courier, lucida sans, tims, geneva, ecc… e compongo pagine con una tale semplicità e velocità che se solo Gutenberg avesse immaginato questo sviluppo alla sua invenzione…ma forse mi stupisco più io vedere che dopo quasi 600 anni ancora oggi qualcuno stampa in quel modo, non per moda ma per mestiere.

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